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C'è modo e modo per lavorare sulla memoria e celebrare un'epoca. Quello scelto da Michael Dowse è decisamente privo di mordente. Perché si sceglie come storia di base quella del perdente con la bella dei suoi sogni della quale si può facilmente immaginare, nonostante qualche colpo di scena artificioso, quale sia il finale. Non sufficientemente soddisfatto però cerca di innervarla con la comicità sopra le righe di Dan Fogler. Peccato però che quest'ultimo non sia non dico John Belushi ma neppure Jack Black e che quindi le situazioni parademenziali in cui viene coinvolto (dall'uso esagerato di cocaina al sesso con guardone al seguito passando per un'improvvisata sfida di ballo acrobatico) risultino più patetiche che comiche. Tacendo poi del padre di Matt, poliziotto tanto comprensivo quanto improbabile come una discreta parte delle battute pronunciate in questo film. A questo va aggiunto che la sceneggiatura (e la regia sua inerte complice) ci propina quasi 45 minuti di party distribuiti su due location. Ma Dowse sta a Blake Edwards come Fogler sta a Peter Sellers. Provate a immaginare chi perde nel duplice confronto. Restano così nella memoria solo due 'perle'. Una è costituita dalla teoria delle tette enunciata da Tori e l'altra dal gioco del pene (peraltro già sfruttato in (500) Giorni insieme . È davvero un po' poco.